OTTO DOMENICHE IN RUSSIA, OVVERO QUALCHE RIFLESSIONE SU QUESTA PRIMA SPLENDIDA LETTURA DI GRUPPO
Leggere Anna Karenina non è mai stato nei miei piani. Ho una lista infinita di libri che vorrei leggere, un buon cinquanta per cento è composto da grandi classici ma Anna non era in cima alla lista. Ad un certo punto, però, ha iniziato a perseguitarmi. Ne sentivo parlare al cinema, in altri libri e persino per strada. E siccome sono da sempre sensibile ai segnali ho risposto alla chiamata di Lev Tolstoj con il risultato di trascinare con me altri cinquanta coraggiosi lettori.
Abbiamo iniziato a leggere il 9 settembre, una data scelta totalmente a caso ma che si è rivelata speciale. Tolstoj nasce infatti il 9 settembre 1828 e scrive molto, moltissimo. Anche se tutti lo conosciamo principalmente per Guerra e Pace (1865-1869) e Anna Karenina (1877), le sue grandi opere. Io già ve lo dico nel caso in cui vi siate persi i miei commenti su quest’ultimo: Anna Karenina è uno dei più grandi libri che io abbia mai letto, e non parlo di numero di pagine o spessore, parlo di quella grandezza che fa di un libro un’opera unica e intramontabile, insomma, un capolavoro.
Andiamo con ordine. Il libro, che nell’edizione economica Einaudi conta circa 900 pagine -la potete trovare qui- narra le vicende di una manciata di personaggi dell’alta società della Russia imperialista. Al centro della storia c’è la figura di Anna Arkàd’evna Karènina, la perla di San Pietroburgo, la moglie del severo Aleksèi Karènin. Immaginate Anna come una fiamma ardente tenuta sotto controllo per tutta la vita che all’improvviso si ritrova nel bel mezzo di una bufera. Inizialmente divampa ma poi (inesorabilmente) si spegne.
Tolstoj ha dichiarato di aver immaginato “un nudo gomito femminile di un elegante braccio aristocratico” e di aver creato Anna partendo proprio da quell’immagine seducente. E infatti del fascino di Anna, Tolstoj ci parla spesso. Basta ripensare al suo ingresso fra le pagine, quando scende dal treno che le cambierà la vita (beh in realtà questo è solo il primo treno che gliela cambierà) o quando abbaglia tutti sulla pista da ballo.
La sua storia pressapoco la conoscevo già. Sapevo che Anna avrebbe dato scandalo innamorandosi perdutamente dell’affascinante conte Vrònskij. La loro passionale e struggente storia d’amore andrà contro ogni regola non scritta della società dell’epoca in cui le scappatelle erano comuni ma non certo alla luce del sole come invece lei e l’amante vorrebbero vivere. La colpa li perseguiterà, isolandoli da tutto e tutti e finirà col creare un divario insormontabile fra i due. Anna e Vronskij potrebbero sembrare intenzionati a raggiungere la felicità ma a loro parrebbe preclusa. La parabola autodistruttiva della Karenina si innesca prima ancora che il lettore se ne renda conto e quando poi la sua crisi diventa lampante è già troppo tardi. Anna è una figura che si odia o si ama, è una donna complessa, emotiva e sfrontata. Senza di lei questo libro non sarebbe nulla.
Ma Anna non è da sola. Ci sono Stiva (il fratello di Anna, l’eterno fedifrago con i debiti qua e là) e sua moglie Dolly (la tanto cara e accogliente Dolly ). C’è Kitty che da giovane e inesperta diventerà una moglie e una madre attenta smettendo di aspirare a diventare come le altre e concentrandosi su di sé. E c’è ovviamente (e soprattutto) Levin, l’autoritratto di Tolstoj, che con le sue battaglie interiori si fa odiare e amare come pochi altri personaggi, finendo col divenire a suo modo co-protagonista di quest’opera dentro cui c’è davvero tanta roba.
Mentre leggevamo, capitolo dopo capitolo, non abbiamo (n.d.r. io e il mio gruppo di lettura) potuto fare a meno di rimanere totalmente affascinati dall’acume con cui L.T. ha saputo raccontare tanti tipi diversi di amore: quello passionale e focoso (che finisce col bruciare dall’interno) o quello timido che pare prossimo a spegnersi tanto è delicato (e invece resiste eccome). Ci parla anche dei limiti dell’amore, di come cambi con il tempo e di come sia difficile accettare che quello reale è diverso da come lo si aveva sempre immaginato e quindi idealizzato. Di una cosa pare essere certo Tolstoj: l’amore esiste, sta dietro ogni scelta e a volte non ne lascia nessuna.
Tolstoj non è solo un osservatore pazzesco. La sensibilità con cui descrive certe emozioni o certe situazioni (decessi, nascite e deliri vari) è sempre perfetta e sincera. Lui descrive con delicatezza emozioni e pensieri che persino oggi imbarazzerebbero. Ad esempio, quando finalmente il sogno di avere una famiglia di Levin si realizza lui si deve scontrare con una realtà del tutto imperfetta! Kitty ha urlato come una matta durante il parto, il piccolino è nato pieno di ittero e lui non ha provato immediatamente quel famoso istinto genitoriale da cui sperava di essere investito. L’amore sconfinato per i figli non è necessariamente la primissima cosa che si prova quando questi ci cascano in braccio! Grazie Lev (e grazie Levin) per aver tentato di sdoganare tutto ciò.
Sì ho divagato giusto un pochino ma solo per dirvi qual è a mio parere la forza di questo libro: l’imparziale e vasta conoscenza dell’animo umano di Tolstoj. I suoi personaggi sono reali e pieni di sfaccettature, sono caratterizzati da desideri sinceri e debolezze contro cui combattono fino alla fine. E tra un pranzo pomeridiano e l’altro, tra santoni che danno consigli dormendo e spietate corse di cavalli si sogna, si spera e si sbaglia insieme ad Anna, Levin e compagnia.
Nessuno dovrebbe temere quest’opera, come disse anche Rory Gilmore (Gilmore Girl’s episodio 1×16) “Tolstoj scriveva per le masse!” e infatti noi, in massa, lo abbiamo accolto.
CONTROINDICAZIONI: improvvisa, folle voglia di andare in un campo a falciare il grano nella speranza di avere una qualche rivelazione catartica/ adesione istantanea a gruppi animalisti contrari al palio.
VOTO: 10