Qualche giorno fa io e una mia cara amica ci siamo perse tra la provincia di Asti e quella di Cuneo, sulle colline del Monferrato che si confondono con quelle delle Langhe. A un certo punto abbiamo riconosciuto il comune di Santo Stefano Belbo, paese di origine di Cesare Pavese.
Armanda Guiducci (scrittrice e critica letteraria) scrisse che “S. Stefano fu il luogo della sua (di Pavese) memoria e immaginazione”.
Sono stata in visita alla cascina in cui è venuto alla luce diverse volte e ogni volta ho ritrovato nella casa, nella vista e nella semplicità genuina del luogo un po’ dell’atmosfera di cui i suoi romanzi sono intrisi.
Cesare Pavese è stato un grande autore che ha raccontato la realtà contadina e non solo. Durante gli studi, Cesare si laureò in Lettere, approfondendo il poeta americano Walt Whitman. Da lì iniziò a tradurre autori inglesi e statunitensi. Non mi dilungherò riepilogando tutta la sua intensa biografia, mi limiterò a consigliarvi di approfondire questo incredibile autore.
Comunque sia, nell’ultimo mese ho deciso di scavare un po’ più a fondo nell’animo di Pavese e ho così deciso di ascoltare su Audible Il Mestiere di Vivere, diario iniziato il 6 ottobre 1935 (durante il suo confino politico a Brancaleone) e concluso il 18 agosto 1950 (nove giorni prima la sua morte).
In quest’opera Pavese ha affidato i propri pensieri, le proprie ultime confessioni, i dolori e i risentimenti che lo laceravano.
“Secretum professionale – Ott.-dic. 1935 e febbr. 1936, a Brancaleone”
Inizia così il diario, mettendo subito in chiaro che oltre agli avvenimenti più intimi sarà anche luogo di riflessione sulla propria produzione letteraria. Marziano Guglielminetti (critico e accademico) lo definì “una sorta di psicoanalisi letteraria di sé stesso”.
Ed è proprio così, il Mestiere di Vivere è una vera e propria riflessione sulla vita, sui sogni, sui ricordi e sull’arte, la propria arte. Ma è anche un sfogo amaro e crudo sulla vita. Vi sono numerosi richiami al suicidio, alle ossessioni, alla desolante e disillusa consapevolezza che vivere è soffrire. Ma la sofferenza non ha scopo.
“Ma la grande, la tremenda verità è questa: soffrire non serve a niente.”
Pavese è sempre stato un uomo in continua analisi interiore, turbato e scosso come il mare in burrasca (basti pensare al suo impegno politico, alla sua esistenza solitaria, le pene amorose) e forse in quest’opera raggiunge il culmine, tracciando nero su bianco quella che è stata la sua personale evoluzione, il suo apprendistato nel mondo, la sua scoperta del mestiere di vivere.
Vi lascio l’ultima nota, scritta una manciata di giorni prima il suo suicidio:
“Tutto questo fa schifo. Non parole. Un gesto. Non scriverò più.”
Ah, naturalmente su Audible potete trovare molte altre opere di Pavese!